1. Il Collare


    Data: 08/10/2019, Categorie: Dominazione / BDSM Autore: Hermann Morr

    ... vicino al divano. Lui continuava a leggere e allungò appena la mano per prendere la tazza, lei si portò sull’angolo del tappeto e si mise in ginocchio, seduta sui talloni in posizione d’attesa. Sentiva freddo, il finestrone aveva le tende volutamente discostate, qualcuno dalle altre case avrebbe potuto vederla. Niente aveva importanza durante il servizio. Il mantra come una spugna portava via i pensieri e il tempo, esisteva solo il suo respiro e la vista di lui. “ Poggiapiedi. “ La Schiava si avvicinò e si mise a quattro zampe sotto di lui, ginocchia, gomiti e viso affondati nel calore del tappeto, la schiena offerta perché lui potesse mettersi comodo e appoggiare la tazza. Alla fine lei era uno dei tanti accessori di quel bell’appartamento, amata quanto i quadri e i soprammobili. Alla fine gli unici veri amori del Padrone erano la bellezza fine a se stessa e la conoscenza. Lei era felice di farne parte. Anche in quella posizione continuava a cullarsi nel mantra, la noia non la sfiorava, la sua essenza danzava in un giardino segreto. La sola cosa importante era che la tazza non cadesse. Il tempo riprese a scorrere solo quando sentì che il Padrone si alzava e andava nella camera da letto. Con un rituale già ripetuto tante volte anche lei si alzò e lo seguì, passando davanti alla cucina e al mucchio dei suoi vestiti abbandonati. Entrata nella camera girò attorno al letto e rimase in piedi a capo chino, rivolta verso l’entrata. Il Padrone si stava spogliando, aveva già preso la ...
    ... canna dall’armadio. Lui non era un tipo da frusta, la considerava troppo comune, e comunque niente poteva eguagliare il fischio della canna che taglia l’aria. Prima di essere fermata dalla carne. “ Giù. “ Salì sul lettone in una posizione simile a quella di prima, meno rannicchiata, la schiena e i glutei dovevano essere completamente offerti, le gambe leggermente discostate perché lui potesse godere dei suoi frutti, appoggiare la guancia sul bacino per sentire la delicatezza della pelle. Si concesse persino un sospiro sotto le carezze, poi le mani del Padrone la abbandonarono e la canna fischiò nell’aria. I primi colpi erano quelli quasi sopportabili, il dolore era troppo affilato per poterlo percepire completamente. Ma il suo esecutore non agiva a caso, non colpiva mai nello stesso posto, quando la canna affondava nella carne la lasciava appoggiata un attimo perché tutta la forza avesse il tempo di trasferirsi. Quando poi alzava nuovamente la canna la pelle si sollevava e la seguiva come appiccicata. Rimanevano strisce colorate, che in poco tempo si gonfiavano, a un certo punto la pelle cominciava a spaccarsi. Allora iniziava il dolore vero e vedeva lampi di luce bianca e gialla ad ogni colpo. La pelle a fuoco, il sudore che si raccoglieva sotto. Una schiava di qualità inferiore avrebbe avuto bisogno del bavaglio, o avrebbe usato la sua biancheria intima come un morso per non gridare. Non sarebbe stato educato spaventare i vicini. Un rivolo di sudore stava scorrendo lungo il ...