"E dire che ti odiavo" parte 2
Data: 24/08/2017,
Categorie:
Etero
Autore: Isabella91, Fonte: EroticiRacconti
I nostri atteggiamenti, da quel giorno, subirono cambiamenti impercettibili ma presenti. Dico nostri perché con il tempo stavamo diventando qualcosa di simile ad una squadra. Ci dividevamo i compiti, Riccardo si fidava di me e mi lasciava molta autonomia, ed iniziò perfino a dedicarmi momenti di pausa per spiegarmi alcune patologie che intendevo approfondire. Mi stimava. Non lo diceva apertamente ma io lo vedevo, lo percepivo. Sorrideva più spesso. A mezza bocca, quasi di nascosto. Una mattina la nostra paziente più amabile, una vecchietta affetta da demenza senile, con totale limpidezza mi chiese, indicando Riccardo: “Lui è tuo marito, vero?”. Mi ritrovai ad arrossire, iniziai a balbettare. Riccardo, divertito, prese la parola: “Certo, e a casa abbiamo anche due splendidi bambini!”. La paziente sorrise, beata, e sogghignò. Non avevo il coraggio di guardarlo in faccia. Che cosa mi stava succedendo? Io avevo poco più di vent’anni e avevo sempre frequentato ragazzi della mia età. Riccardo ne aveva quaranta, era un uomo adulto, un uomo grande. Inoltre, dalle sue attenzioni quasi tenere e presenti, era evidente che mi vedesse solo come una ragazzina che deve crescere. Non poteva di certo vedermi in “quel modo”. Questa considerazione mi infastidì, colpì il mio ego in una profondità non prevista. In quel periodo mi stavo vedendo con Giovanni, un mio compagno di corso. Il nostro rapporto era tiepido ed iniziato da poco. Non ero convinta fin dall’inizio, a dire la verità, ma lo ...
... stress dei turni e dello studio necessitava inevitabilmente di un canale di sfogo. Il sesso tra me e Giovanni era quello che si può definire mediocre. Non tanto tecnicamente, dal momento che non c’era alcun problema rilevante. Ma mi annoiava. Non era in grado di avvolgermi la mente, scavarla, arrovellarla. Non aveva nemmeno mani troppo abili, a dirla tutta. Alcune sere, quando i nostri turni coincidevano, mi portava a mangiare una pizza, dove inevitabilmente ci trovavamo a parlare di esami e di ospedali, alternando discorsi vuoti ad ampie fette di silenzio. Poi, come da prassi, saliva da me a bere un calice di rosso e finivamo a letto. O sul divano, dove capitava. Una dose chirurgica di sesso per succhiarmi via i pensieri e la stanchezza mentale. Non riuscivo mai a raggiungere l’orgasmo con lui, se non aiutandomi con la mia stessa mano, nel mentre. Mi domandavo perché dovessi accontentarmi di quello scenario, di quella pizza, sempre la solita margherita perché non avevo voglia di guardare il menù, di quelle parole banali. Di quel pezzo di carne che dovevo trattenere tra le cosce, inumidita il minimo indispensabile, come una concessione corporale, una penitenza, quasi. I miei conflitti su Riccardo iniziarono a farsi sentire anche nel mio rapporto con Giovanni. Una sera, a letto, mentre mi sfiorava i seni mi trovai ad immaginare, ad occhi chiusi, che tipo di approccio potesse avere Riccardo con le donne. Di fondo, era un uomo molto algido. Quando si trovava a gestire le urgenze ...