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Sole di Maggio
Data: 19/11/2020, Categorie: Sentimentali Autore: CLAUDIO TOSCANI
... bella alta. Stasera vengo a trovarti.» «Sei matta? Rimani a letto.» «Ho il permesso del dottore. Mi ha concesso di stare con te dieci minuti ma dopo sai com’è, no?» «È la verità?» «Certo che è la verità. Cribbio, non vuoi che venga perché hai adocchiato qualche bella infermierina?» «In camera mia ne gironzola un paio. Una è bionda e l’altra rossa naturale. La rossa ha le lentiggini che le fanno un visino simpaticissimo.» «Le fanno un visino simpaticissimo», lo scimmiottò lei facendogli sentire uno sberleffo. «M’immagino come sarai affascinante col capo ammaccato e la febbre quasi a trentanove.» «Eppure mi fanno certi sorrisetti, e quanta cortesia! Con una scusa o l’altra sono sempre intorno al mio letto. Chissà che a entrambe non venga la sindrome dell’infermiera.» «La sindrome di cosa?» «Dell’infermiera. Non capita di rado che le infermiere s’innamorino dei loro pazienti. La chiamano “sindrome dell’infermiera”. Non lo sapevi?» «Tra poco te la do io la sindrome dell’infermiera.» Quando Silvia si avventurò sul corridoio del reparto donne, le giunsero, dalle porte semiaperte delle camere, immagini tribolate di volti sconosciuti. L’umanità, spogliata dalla presunzione, succhiava stille di vita da boccette e sacchetti che sgocciolavano, in vena, liquidi trasparenti, lattei o di un saturo rosso scuro. Vide il braccio rinsecchito di una vecchia, che aveva nelle narici i tubicini dell’ossigeno, fuoriuscire dalle lenzuola e penzolare verso il pavimento. Quelle immagini non le ...
... rammentarono il brutto sogno ormai sfumato, ma il ricordo della sola volta che aveva viaggiato in treno, di notte. Il treno aveva fatto sosta nella stazione di una grande città. Accanto ad esso se n’era affiancato un altro. Come le era sembrato strano vedere le carrozze, con i finestrini illuminati, le facce anonime dei passeggeri e osservare quel preciso istante della loro vita. A un tratto le era parso che il treno attiguo avesse iniziato a muoversi ma era il suo che partiva. Era rimasta accanto al finestrino a osservare la città sfilare via, sempre più rapida, immaginando fosse essa a fuggire e non la sua carrozza. Una città che si portava appresso le insegne multicolori dei negozi, i rettangoli luminosi, delle mille finestre, che sembravano incollati sulle facciate dei palazzi, dove le persone vivevano ognuno la propria storia. Vite di cui spesso nessuno sapeva soltanto due pianerottoli più in basso. Aveva provato un tale senso di nullità che si era sentita mancare. La stessa sensazione che ora provava. Un capogiro la costrinse ad appoggiarsi alla parete. Si sforzò di procedere con naturalezza per timore che qualche infermiere la riaccompagnasse in camera. Udì una voce maschile alle sue spalle. «Signorina, si appoggi a me.» Chi aveva parlato era un uomo in pigiama, piccoletto, sulla sessantina, con capelli canuti e sguardo guizzante. Teneva un giornale sottobraccio in un modo tanto stretto da dare l’impressione di temere che qualcuno se ne appropriasse. «L’accompagno, signorina, ...