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La Scema
Data: 24/06/2018, Categorie: pulp, Autore: senzaidentità
... che ce lo ritrovavamo a pranzo e cena quando aveva un lavoro a dargli il doppio dello stipendio dei miei insieme. E una casa enorme. Però non aveva la moglie allora veniva da noi e mia madre gli faceva la serva in cambio di due fiori che le appioppava per il balcone. Io leccavo via il cibo dal piatto veloce, se non mi andava lo buttavo direttamente al gatto e mi piazzavo sul divano per sentir qualche demenza dal televisore prima di andare a studiare domandandomi il motivo per cui zio non se ne andasse a pranzo al ristorante dato che se lo poteva permettere. Quando ero fortunato, perché certi giorni il signor Scroccone si era piazzato prima di me e non potevo chiedergli di sloggiare. Mamma si incazzava. Certo a casa degli altri si facevano chiacchiere su Marta come a casa mia e noi poi a forza di sentirla chiamare Scema glielo ripetevamo in coro. Io non mi univo agli altri comunque, usavo chiamarcela in privato ma quando ero io a dirlo per poco sorrideva. Ma dicevo quella mattina fu una svolta. *** Marta, abituata a starsene sul materassino della palestra vi si era addormentata, sentiva ciò che dicevamo noi che intanto avevamo finito di giocare e le nostre voci le arrivavano, ovattate, i rumori, le voci più squillanti, quelle di noi maschi. Mi ero stufato del discorso e poi le tematiche erano sempre le stesse. Nessuno parlava mai delle possibili tracce che sarebbero uscite per il tema della maturità ma solo di scopare, della Sambuca Molinari e di andare a ballare. Eravamo già ...
... tutti maggiorenni, ci tengo a precisare, qualcuno ripetente dell'anno scolastico più volte. La svegliai toccandole i capelli e si girò a pancia in su incrociando le braccia dietro la nuca. Mi sorrise perché io anche spesso le sorridevo e anche per aver sentito tutto quello che avevamo detto prima. Mentre lei fingeva di dormire. Dentro Marta, quelle fantasie si animavano come in noi ma non si avvicinava a nessuno. "Che vuoi?" Mi fece muovendo la bocca, una gomma da masticare nel dormiveglia le aveva unito lingua e palato. "Sai che dicono sti porci?" Le risposi allegro. Volevo soltanto che si sentisse partecipe. "Si che lo so. Invece tu non lo sai cosa so fare io." "Ah no? Che sai fare?" Mi aveva messo curiosità quella volta. "Quello che dicevate voi... Ma no come Nicla. Io lo so fare davvero." Nicla era una delle più sfacciate e svestite della nostra classe e se la spassava; a raccontare di come quando un muratore che da tre anni ritoccava la facciata di casa sua, glielo infilava dentro al culo e lei con la mano nel frattempo strofinava sempre più freneticamente la clitoride. A quel punto a suo dire getti pieni di succhi sprizzavano dalla sua figa e bagnavano tutto il letto dei genitori, su cui scopavano in assenza dei signori (sarà stato per tale distrazione che il tizio non finiva mai il restauro?) fino ad inzupparlo. Aveva un gran culo da troia quella Nicla ma pure cosce che portava in bella vista, la pancia piatta spesso scoperta. Io la tenevo a distanza e lo so che viene ...