L'Ostrica
Data: 02/12/2018,
Categorie:
Etero
Autore: Micina
LA SORPRESA 9.02 di lunedì. Sono in ritardo come sempre, oggi per colpa della pioggia che intensifica il traffico. Lancio la giacca sull’appendiabiti e mi fiondo ad accendere il PC (necessito di caffè). Il telefono sta già squillando, rispondo mentre con le mani mi liscio i capelli arruffati dall’umidità. Suonano anche al citofono. Ascolto la voce della signora dall’altra parte della cornetta, guardo sul monitor del videocitofono, rispondo alla signora, riguardo il monitor (è lui!!), apro la porta, rispondo ancora alla signora, che liquido nel giro di cinque secondi, cerco di nuovo di pettinarmi con le mani (voglio un caffè). Appena compare dalla porta, già sorridente, le guance mi si infiammano. Non ho alcun motivo per averne soggezione, ma quello lo sguardo insistente, che ogni volta percepisco su di me, mi manda nei matti. Mi piace la sua voce calda e il suo modo di fare pacato, ma per il resto è imperscrutabile e io odio quando le persone non si lasciano guardare dentro, ne resto affascinata e incuriosita (o meglio fregata). Ci salutiamo e lo prego di accomodarsi in attesa che il Grande Capo si liberi. Niente, lui non ascolta, resta lì, immobile e mi fissa. “Caffè?”, ancora niente. Abbasso lo sguardo e mi rimetto (anzi inizio) a fare le mie cose, un po' impacciata, spero non si noti. Finalmente viene convocato in sala riunioni. Sospiro quasi sollevata, ma la sensazione dura poco. Il telefono squilla: il Grande Capo richiede un paio di caffè. Corro a prepararli alla ...
... velocità della luce e ingurgito il primo come se non ci fosse un domani, chiedendomi perché il lunedì debba sempre essere così difficile. Una passata ai capelli, una lisciata al vestito e lentamente percorro il lungo corridoio dello studio e porto i caffè ai signori. Entro, appoggio il vassoio sul tavolo e cerco di non guardarlo. I suoi occhi su di me li sento. Finalmente mi metto a lavorare concentrata su quello che devo fare. Per primo rileggo gli appunti del giorno prima e rispondo a qualche e-mail, come di consueto ad inizio mattinata. Mentre sono al telefono con la signora di prima e cerco di dare risposte più convincenti, sento qualcosa, una presenza, alzo lo sguardo. Lui è lì, bello come il sole, che mi fissa. Ancora una volta termino in fretta la conversazione con la signora. “Posso aiutarti?” gli chiedo. “Domani sei invitata a cena, lasciami il tuo indirizzo così ti mando un taxi per le 20” (Porca boia!). Non so quale espressione e colore del viso ho e non so nemmeno se la mia voce esce, ma accetto e lascio il mio indirizzo su un post-it. Da quel momento l’ansia si è impadronita di me. Sono un automa che fa le cose quotidiane senza riflettere, con lo stomaco in subbuglio e la tachicardia perenne. Una tortura che non vedo l’ora finisca. 1° APPUNTAMENTO Sono sul taxi e non riesco a respirare. Una mezzora interminabile. Appena l’auto si ferma la portiera si apre e il mio braccio è afferrato da una mano forte e sicura che mi aiuta a scendere. E’ lui, è davanti a me e mi guarda ...