1. "Due anime che si trovano"


    Data: 26/08/2019, Categorie: Etero Autore: Isabella91

    Quando Elia mi lasciò, da groviglio arido di spine che ero prima di conoscerlo, mi ritrovai ad essere poltiglia, carne morbida in cui affondare impietosamente un coltello. Non mi spiegò perché aveva sentito l’improvvisa necessità di strapparsi via dal mio corpo, quando fino alla sera prima mi si ripiegava addosso con la sua maglia di cotone. Respirava contro la mia nuca, e l’aria era satura di musica che usciva dai suoi dischi. Erano toni grevi e al primo ascolto monotoni. Non avevo mai compreso le sue note, e lui le mie letture, a suo dire, da borghese figlia di medici. Preparavo gli esami sulla sua scrivania. Appoggiavo i libri sui suoi pennarelli sparsi, foglietti di appunti, poesie attaccate con la colla. Era un artista, e il suo caos era in grado di mettere a posto il mio rigore. “Tu sei la fantasia erotica del mio inconscio. Ultimo tango a Parigi e tante altre cose”. Me lo diceva quasi con malinconia, legandomi i capelli in una coda troppo morbida quando mi finivano sul viso e avevo le mani impegnate ad accarezzare pigramente il suo sesso. Ci incontrammo una sera, era febbraio. Ricordo la neve sporca ai lati della strada, i guanti bucati, il freddo abbarbicato alle ossa. Ero uscita a fumare davanti all’ingresso di un locale squallido in cui passava musica rock. Lui indossava un cappello di lana verde. Un cappello orrendo. Mi sorrise. “Hai freddo signorina?”. Dovevo avere proprio un’aria rigida ed impettita. “No. Stavo proprio pensando di spogliarmi!”, risposi, acida. Mi ...
    ... feci antipatia da sola. Elia alzò le mani al cielo, ridendo. “Chiedo venia, scusi se mi sono permesso di interessarmi alla sua temperatura”. Mi ricomposi. “Scusami tu, è stata una giornata pessima”. “Sono certo che tu non stia mentendo. Dai, entra dentro che ti offro una tequila”. Non suonò mellifluo. Fu perentorio e allo stesso tempo rassicurante. Avevo solo voglia di abbandonarmi. Ordinò gli alcolici al banco. Prese una manciata di sale e se sparse una striscia sul dorso della mano. Affondò i denti nella fetta di limone, fece una smorfia e si succhiò la pelle. Ritardai i miei gesti per osservarlo. Trovavo estremamente erotico come quello sconosciuto riempisse lo spazio. Restammo a bere a quel tavolo fino a quando Elia, nello spostare un bicchiere, mi toccò una mano per sbaglio. Sentii una scossa, un graffio lungo le braccia, l’inguine come agguantato. Mi guardò per un attimo con un’intensità quasi dolorosa, sorrise con un lato della bocca. Era eccitato e triste, lo vedevo. In qualche modo, ci eravamo trovati. “Ho la pipì”. Glielo dissi con gli occhi piantati nei suoi. Mi seguì in bagno, come mi aspettavo. Si chiuse la porta alle spalle. Il lavandino era bianchissimo e perdeva acqua, i muri mutilati di scritte. La musica rock era ovattata, lontana, oltre quel cesso, oltre quella città. Eravamo da soli. Restammo a guardarci in un’aria che sembrava perdere materia. Mi sentivo dentro una clessidra, a nuotare dentro la sabbia. L’attesa. L’attimo prima del buco alle orecchie, di ...
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