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Appartenenza (prima parte)
Data: 02/12/2019, Categorie: Gay / Bisex Autore: boreetoah
... più di tanto e lo consideravano strambo. Si sa che i bambini sono anche capaci di terribili crudeltà e il carattere mite e remissivo di Fulvio si prestava totalmente a subire scherzi e prese in giro. Non si arrivava mai alla violenza, ma una parola può ferire più di uno schiaffo. Fu così che a dieci anni divenne per tutti “finocchio”. La prima volta che glielo dissero non capì. Poi sì. E sentì un dolore dentro, non per la parola e neanche perché si rese conto che era vero; ma perché non era stato in grado di capirlo da solo. Lui, che si guardava dentro con precoce maturità, non aveva compreso certi suoi palpiti, pensieri, immagini che da tempo lo investivano. L’improvvisa rivelazione gli diede una sorta di sollievo. Ora capiva. Capiva quel suo muoversi sulla terra come una creatura aliena, capiva il suo sentirsi a casa quando nuotava per ore nella piscina, solo, senza dover profferire parola ai suoi compagni, pur essendo dotato di una notevole dialettica. Capiva quell’impercettibile curiosità di guardare i corpi dei maschi. Capiva il suo corpo che tendeva all’angelico con i lineamenti delicati, i capelli biondi e lisci, gli occhi blu, il corpo snello e alto per la sua età. Nei tre anni successivi si concentrò, quindi, su questa scoperta e, come gli fu chiaro il suo modo di essere, un'altra certezza lo folgorò. Lui apparteneva a qualcuno. Da qualche parte nel mondo un ragazzo, un uomo, un maschio lo stava aspettando. Lui era di qualcuno. Per un uomo che lo aveva ...
... rifiutato, un altro lo avrebbe accolto. E anche se non lo riconobbe, a quattordici anni lo trovò. Fausto aveva perso sua madre a 11 anni. Se l’era portata via una malattia che non lascia scampo. Gliela avevano diagnosticata quattro anni prima e da allora lui la vide combattere accanitamente, resistere, illudersi e poi cominciare a perdere la speranza , a rassegnarsi, a smettere di lottare fino a consumarsi e spegnersi lentamente. All’inizio, dopo l’intervento, sembrava stesse meglio e per due anni la vita fu la stessa di sempre. Ma negli ultimi due anni cominciò a peggiorare. Per quanto suo padre avesse cercato di tenerlo all’oscuro di quello che stava succedendo, era impossibile non rendersi conto di quanto la mamma stesse male dopo una giornata in ospedale, della nausea, della stanchezza, del colorito strano della pelle, dei chili persi, dell’odore. Nell’ultimo anno le giornate passate a letto erano sempre più numerose, l’appetito sempre più scarso, la luce negli occhi sempre più debole, la voce sempre più flebile. Gli ultimi mesi videro la casa frequentata dal medico delle cure palliative, dagli infermieri per le cure sanitarie, dagli assistenti domiciliari per l’igiene quotidiana. Fausto li osservava tutti entrare nella stanza della mamma, le sorridevano, le facevano complimenti. Le usavano una delicatezza straordinaria. Dovevano. Era talmente magra che sembrava si potesse spezzare da un momento all’altro. L’infermiera le portava sempre un fiore del suo giardino e uno degli ...