Come parlarne? - Capitolo VI
Data: 08/10/2018,
Categorie:
Feticismo
Autore: VB1977, Fonte: EroticiRacconti
Ero pienamente consapevole di avere molti complessi mentali. In un certo senso il termine “sfigato”, con cui ero cresciuto, mi si addiceva. Da un lato, c’era la mia famiglia. Essendosi fondata su obblighi e doveri, io venivo giudicato esclusivamente in funzione di come li espletavo. Mio padre a volte si presentava sul mio posto di lavoro, a mia insaputa, al solo scopo di chiedere cosa io facessi di sbagliato. Non era importante se, in generale, io fossi un valido dipendente. Per lui contava che io non facessi mai errori. Ed essendo sicuro che io ne commettessi, veniva a cercare scuse per rimproverarmi. E se anche non ne commettevo, non era abbastanza comunque, in quanto non raggiungevo la perfezione. C’era sempre qualche motivo valido che le persone avrebbero usato per parlare male di me con lui, come se davvero la gente andasse da lui a parlargli male di me. Tutte le sue critiche e i suoi giudizi su di me, tuttavia, avevano fatto sì che io sentissi un costante senso di insicurezza e avessi nei miei stessi confronti uno spirito di autocritica intollerante, che devastava la mia autostima. Mi ritrovavo a cercare costantemente dei difetti in tutto ciò che facevo, per correggerli e arrivare ad una perfezione che rimaneva comunque impossibile da raggiungere. Dall’altro lato c’erano i ragazzi del nostro quartiere, i quali mi avevano preso di mira fin da subito in quanto “straniero”, per poi sfruttare le mie debolezze ed infierire regolarmente, con prese in giro e scherzi di ogni ...
... tipo, che diminuirono, ma non cessarono del tutto, solo negli anni dell’adolescenza. Al centro invece c’era lei. In un mare in tempesta, con onde alte e forti venti, lei era il faro che mi dava sicurezza. Dipendevo da lei e questo era chiarissimo anche per lei, ma soprattutto lo era per me. Non riuscivo ad immaginare il mio mondo senza di lei. Ma era proprio la consapevolezza di questa dipendenza a tormentarmi. Come potevo pensare di essere innamorato di lei, se sapevo di voler stare con lei perché ne ero dipendente? Tutto era per me molto confuso. E confuso voleva dire non perfetto. E io volevo essere perfetto. Lei meritava un ragazzo perfetto, uno che fosse innamorato perso, non un ragazzo preda di dubbi e confusione. A volte ricordavo le parole che mi aveva detto, cioè che io non conoscevo l’amore, perché la mia famiglia non mi aveva mai amato. Ma allora come poteva essere sicura del mio amore? Eravamo seduti sul prato del parco, come facevamo da bambini e la vidi reagire con un sorriso quando le posi questa domanda. “Tesorino, il fatto che tu non conosca cosa sia l’amore,” rispose, “non vuol dire che non lo metti in atto. Quando mi mandi messaggini, quando mi dici che mi ami, quando mi guardi in certi modi, quando hai certe attenzioni, quando mi pensi, quando mi desideri, quando vuoi vedermi sorridere, quando vuoi vedermi felice, non sono segni del tuo amore per me?” Riflettei alla sua risposta. “E se fosse solo paura di perderti?” “Anche la paura di perdermi è un sintomo ...