1. "E dire che ti odiavo" parte 4


    Data: 21/07/2019, Categorie: Etero Autore: Isabella91, Fonte: EroticiRacconti

    ... minuti per firmare il mio precedente giudizio. Mentre salivo le scale iniziai a realizzare che quella sarebbe stata davvero la mia ultima occasione. Entrai in guardiola quasi con foga. “C’è Riccardo?”. Lui era girato di spalle. Mi sorrise. “Vieni qui, andiamo in un posto più tranquillo”. Mi fece entrare nella stanza della caposala. Si sedette. “Sei stata una compagna di squadra perfetta. Non ho niente da rimproverarti. Per quanto mi riguarda il tuo giudizio è ottimo”. Mi mostrò la scheda e mi indicò dove firmare. Eseguii. Si alzò dalla sedia e rimase in piedi. “Come ti trovi nel nuovo reparto?”. Il suo ruolo era terminato, ora era solo un uomo interessato al mio presente in quanto persona umana. “Per ora bene”. “Ti manca stare qui?”, aggiunse, guardandomi negli occhi. “Mi manca”. Restammo in silenzio. Alle mie spalle, una porta a vetri. Ci dividevano solo pochi centimetri. Osservai i suoi muscoli facciali contrarsi. Restai in attesa. Poi mi scappò: “Mi devi dire qualcosa?”. Scosse la testa, quasi con amarezza. “Non devo dirti niente”. E non era vero, lo sapevamo entrambi. “Io devo andare, Riccardo, mi aspettano”. Misi una mano sulla maniglia. Si avvicinò. “Fatti salutare”. Era pericolosamente vicino. Mi abbracciò. Mi strinse in modo sicuro, non eccessivo. Un modo che non seppi decifrare. Poi si staccò. Mi lasciò andare. “Ci vediamo in giro, Isabella”. Tornai in reparto disorientata, irrigidita, incapace di realizzare l’accaduto. Avevo atteso quel momento da due giorni ed ora ...
    ... era tutto finito, in una manciata di minuti. Ora ero arrabbiata, furiosa. Avrei voluto andarmene a casa. Invece distribuii la terapia, ascoltai le domande dei pazienti, iniziai a memorizzare i nuovi nomi. Ad un tratto mi trovai a guardare il telefono distrattamente per controllare l’ora. Avevo solo voglia di andare a pranzo e staccare la testa. “Non è lo stesso qui senza di te”. Era un messaggio di Riccardo sul display. Mi sentii cedere le gambe. Risposi solo a fine turno, gustandomi la sensazione di quelle parole. Le aveva scritte davvero. Erano nero su bianco, non le avevo immaginate. “Nemmeno qui lo è”, e inviai. Giunse la sera. Stavo tagliando le verdure ascoltando buona musica. Ero estasiata dalle emozioni che stavo provando. Arrivò un altro messaggio: “Vieni a bere una birra da me, adesso”. Fu istintivo. Abbandonai tutto ciò che stavo facendo. Corsi sotto la doccia, mi truccai, mi vestii con eleganza. Non stavo pensando. Non stava accadendo. “Arrivo. Mandami l’indirizzo”. E uscii. Quando arrivai sotto casa sua e parcheggiai, mi accorsi del tremore alle mani. L’agitazione crebbe ad ogni passo che mi conduceva alla sua porta. Tentai di respirare più profondamente, di fingere disinvoltura, ma dentro ero un cristallo rotto. Suonai. Mi aprì. Per la prima volta lo vidi in abiti civili. Indossava una camicia nera, dei jeans dello stesso colore. Aveva le lenti a contatto. Mi sorrise. “Accomodati”. Ci sedemmo al tavolo, dove mi stappò una birra chiara. “Raccontami di oggi”, mi ...