1. La minestra riscaldata diventa bollente – 1 – l’occasione


    Data: 12/11/2017, Categorie: Etero Autore: IlBaroneRosso, Fonte: Annunci69

    ... era avvicinato, fino alle grandi labbra, succhiandole prima una, poi l’altra, neanche fossero caramelle.
    
    Che belle labbra che hai, le diceva tra una succhiata e l’altra.
    
    Sono dolci, saporite, sanno di buono, sanno di felicità.
    
    Avrebbe voluto dirgli basta dai, non lì, metti la lingua in mezzo, è lì che devi leccare.
    
    E lui no, la sfiorava appena, con un dito, lì.
    
    Ma non si era accorto di quanto fosse bagnata, lì in mezzo?
    
    Impossibile che non avesse capito quanto voglia avesse, quanto fosse non umida, ma fradicia.
    
    E lui niente, con la bocca cercava il bottoncino in alto, e lì invece, quasi per sbaglio, ci infilava piano piano un dito.
    
    Ma non puoi fare il contrario? Il dito sul bottoncino e la lingua dentro?
    
    Quando finalmente si decise a cacciarle la lingua dentro, leccando avidamente tutta la sua umidità e poi penetrandola con la lingua che sembrava gonfia, cacciò un sì lungo un kilometro, gli tenne la testa ferma premuta contro per paura che si staccasse, ancora due o tre colpi di lingua dentro, un urlo e finalmente gli scaricò in bocca tutto il suo godimento.
    
    Ansimando, gli sospirò:
    
    “Mi hai fatto venire, Giorgio, mi hai fatto venire. Mi hai fatto venire di lingua. Che bello! Che bello! Oooooh”.
    
    “Sì tesoro, ma adesso ti faccio venire di cazzo”.
    
    Sempre sboccato. Ma, a parte la parolaccia, era proprio quello che voleva.
    
    “Sì, dai, così vengo ancora” gli disse con un soffio, e sperava che non avesse sentito.
    
    Ansimava. Ma sentiva che ...
    ... doveva dirglielo. E glielo disse:
    
    “Vienimi dentro, Giorgio. Ne ho bisogno, sai, ne ho proprio bisogno, tanto, tanto”.
    
    E cominciò la loro cavalcata. Secondo il loro vecchio copione, appena appena aggiornato.
    
    Lui sopra, lei sotto.
    
    Poi la cavalcata selvaggia di lei, su di lui.
    
    Era la posizione che preferiva: dominava lei, decideva lei, se affondare, impalandosi fino in fondo, oppure appena appena, spostandosi da una parte o dall’altra per sentire il membro di Giorgio, sempre duro, sempre grosso, da una parte o dall’altra, col corpo davanti a spingere sulla parte di sotto della vagina, oppure col corpo all’indietro, per sentirselo di più sulla cima, dove incominciano le piccole labbra; e subito dopo affondava ancora e ricominciava la sua ginnastica: il sesso self service.
    
    E la posizione ginecologica.
    
    Ma qui era indifesa, comandava lui, era lui il padrone di tutto.
    
    Era bello anche questo, fa parte del gioco offrirsi tutta aperta al maschio, a gambe larghe, addirittura gliele appoggiava sulle spalle, e lui entrava, con la forza di chi ce l’ha duro e vuole farlo sentire alla sua donna, e sceglieva lui con che forza spingere.
    
    E la pecorina.
    
    Anche qui era lui il padrone.
    
    Quando la afferrava per le cosce e se la tirava contro era perché voleva colpire di più, più forte di prima.
    
    E quando accarezzava le natiche e si appoggiava col busto e una mano scendeva sulle tette, a strizzarne una, a pizzicare il capezzolo dell’altra, e allora drizzava il pene appena ...
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