1. Secrezioni: "C'è l'umido da buttare"


    Data: 12/12/2017, Categorie: Etero Autore: renart

    ... l'italiano lo conosci e una storia potabile da qualche parte dentro di te potresti anche averla, altrimenti leva mano e fai fruttare almeno la laurea. O ti serve soltanto per le lezioni private, 'sta laurea, a pochi euro per giunta?" Pausa. Una pausa da teatrante consumata che sa come dare slancio alla spannung del suo monologo. Un sorso di vino, una scrollata del capo con le labbra serrate e tirate, a mimare l'effetto di chi non può credere a quanto sta per dire, e via, altro assolo ficcante: "Ma dico, ti faceva tanto schifo restare all'università appresso al tuo professore? Cazzo, a quest'ora avresti finito anche il dottorato, saresti ricercatore, assegnista, quello che è, insomma, avresti avuto uno stipendio, uno straccio di stipendio, d'accordo, ma decoroso e fisso, con sviluppi di carriera, sarebbero cambiate le nostre prospettive, avremmo potuto cominciare a coltivare qualche ambizione, visto che la parola sogno ti disgusta. Niente di straordinario, eh, giusto quel paio di cose per le quali la gente normale si mette insieme e si alza la mattina. Invece, guardatelo lì, il grand'uomo! Ti accontenti dell’assegno di disoccupazione, fin quando t’arriva, ed è così che pensi a una famiglia? Eggià, non ci pensi mica tu, è roba meschina da persone normali”. Anche le gambe mi danno il capogiro. Le ha accavallate e l’orlo della vestaglia le è scivolato di lato, così che posso vederle bene, massicce, sode e tornite come colonne greche. Mi viene duro. “Eccolo lì il grande poeta che ...
    ... si mena l’uccello. Ma quanto ti piace darti ‘ste arie da bohémien. Pubblicassi qualcosa di decente, almeno. Anzi, pubblicassi qualcosa! Non dico un bestseller, non saresti nemmeno in grado di scriverlo un bestseller, ma almeno un romanzetto, una raccolta di racconti, che so, un libro di poesie... qualcosa che ti faccia almeno pagare l’affitto, santocielo!” Spegne la sigaretta in una tazzina da caffè e tira su una gamba sul tavolo. Dalla tasca della vestaglia recupera una boccetta di smalto rosso, ne svita il tappo, lascia scolare sull’orlo il colore superfluo e, diligentemente, passa il pennellino sulla superficie avorio delle unghie ben curate. Il frrr frrr di quell’azione graffia l’aria pesante, infondendomi un benessere denso di poesia. Inoltre, la posizione assunta per questa abluzione apre ancor di più i lembi della vestaglia, così che posso vedere il pelo folto della passera, riccio e scuro come astrakan. Me lo meno lentamente, senza tirarlo fuori dalle mutande. “C’è da buttare l’umido, cazzo! Lo senti ‘sto puzzo? Nemmeno questo puoi fare, devo pensarci sempre io. Che gran figlio di puttana sei”, sbotta esasperata. “Vieni qui a soffiarmi sulle unghie... fa’ almeno questo”. Mi alzo dalla poltrona e avanzo verso di lei barcollando come se pestassi delle braci, ora con una zampa ora con l'altra, prendo un piede in mano, il sinistro, e ci soffio sopra. Mi arriva un afrore di sudore misto a bagnoschiuma alla malva, ma sono concentrato sulla passera, una fica grossa come un ...