1. Matilde 02-05 - un parco nazionale di nome debra


    Data: 28/07/2021, Categorie: Etero Autore: Alex46, Fonte: Annunci69

    Una sera Michele si apparta, per circa un’oretta, a scrivere. Sembra stia copiando una lettera. Naturalmente sono curiosa e vorrei sapere che cavolo ha da scrivere e soprattutto a chi. Lui con fare di mistero mi risponde vago, concludendo con un “vedrai a suo tempo”.
    
    Poi il giorno dopo, nella buca delle lettere, trovo una busta a mio nome. Non c’è mittente, ma è la calligrafia di Michele.
    
    L’ho praticamente già aperta ancora prima di essere arrivata al piano e in casa. Sulle prime, non capisco, ma dopo qualche riga realizzo che Michele, giocando sul fatto di essere nativo del segno del Leone, in questa missiva si fa chiamare Leo. E la missiva è stata scritta a suo tempo per Debra. Lei, nativa di Tarvisio, era appena giunta a Milano.
    
    «Con nervosa rassegnazione Leo avrebbe ceduto al sonno, non c’erano neanche più mosche da scacciare con la coda. Quella coda ch’era il terrore degli altri animali. Bastava un suo piccolo movimento e si poteva spiare l’umore del monarca. Prendiamo le code delle vacche: si muovono a ritmo, con uno scopo preciso. Il colpo di coda arriva ciclico e prevedibile quando la mosca si è appena posata.
    
    Con la coda delle vacche potremmo misurare il tempo, un pendolo naturale per i pomeriggi d’ozio.
    
    La coda di Leo invece seguiva altri programmi: come un Ufo, quando si muoveva era a scatti senza fretta né direzione, un umore vagante. I meccanismi del suo movimento erano simili a quel fantastico assemblaggio di muscoli e ossa che faceva l’andatura ...
    ... di Leo così particolare. Forza ed elasticità non allenati, spontaneamente selvaggi. Nato così, per incutere ammirazione e timore nelle altre creature di Dio.
    
    Ma poi era successo qualcosa di imprevedibile e spiacevole. Attorno a lui la natura si era allontanata, disgregata. Le sembianze erano impallidite e gli oggetti apparivano amorfi. Perfino le mosche avevano cessato di fare le mosche. C’era abbondanza di animali morti, dappertutto Leo poteva incontrare carogne fresche e si dannava di non aver più nulla da cacciare: sembrava che gli animali preferissero morire un attimo prima di essere cacciati da lui. Morire per morire, meglio farlo soffrire un po’.
    
    Di leonesse neanche parlare: erano tutte state deportate in altri sistemi mentali, così lontani da lui che anche la sua parte più fisica si rifiutava di riconoscerli. Era tutto finito, non rimaneva che terminare lentamente alla ricerca dello sbadiglio più lungo.
    
    Per la sua natura di animale, Leo non poteva chiedersi più di così. Chi si era in realtà allontanato? Lui stesso? E la deportazione della vita cui aveva assistito chi l’aveva provocata? Lui stesso? Non sono domande che un leone può farsi, anche se privato della savana e degli animali alla sua corte.
    
    Perciò se ne stava sdraiato per terra a pancia in giù e aspettava la fine.
    
    Due o tre volte alla settimana si addormentava profondo e allora finalmente quella coscienza così terribile che gli faceva apparire oggetti ed esseri miseri e indegni di essere vissuti ...
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