Matilde 02-05 - un parco nazionale di nome debra
Data: 28/07/2021,
Categorie:
Etero
Autore: Alex46
... L’unica speranza che Leo aveva di poter frequentare il parco e di respirare quell’aria così intera era di scavare a grandi zampate dentro al suo proprio cuore e di estrarne il suo aspetto femminile, occulto, debole. Buttare via il travestimento da uomo, apparire per quello che era ma offrire anche, con le mani insanguinate, la sua femminilità a pegno di un amore. Il suo desiderio di figli, di parto, di essere pieno di latte, di fare da mamma a una piccola grande belva. Se qui non ci sono leonesse, lo diventerò io, si disse. Per non essere scacciato dal parco.
Leo accarezzava il muschio morbido e umido che giaceva accanto alle due gemme. Le sue zampe sembravano quelle di un cucciolo, i suoi occhi sembravano dire “sono qui, sono io, proprio io. Non mi aspettavate? Scusate il disturbo, ma qui devo essere padrone (di me)”. Le due gemme, il muschio, i centomila fili d’oro e le sorgenti vicine vibravano come una sola cosa, sembravano impazienti di trasformarsi nella più splendida e fiera leonessa con cui un leone potesse interagire da leone. C’erano degli ostacoli, però.
Erano solo oggetti antichi in vetrina, ma chissà quante cose avevano da raccontare. Le parole sentite fino ad allora erano mormorii delle chiome degli alberi, gli oggetti in esposizione non parlavano, non raccontavano e non dischiudevano il loro mondo. Ma volevano farlo. Leo cominciò a tamburellare con le dita, anche lui impaziente.
Nell’aria cominciava a diffondersi un profumo di dolce cucinato in casa, ...
... come se migliaia di torte uscissero in quel momento dal forno. Tra le tante mediterranee, cremose e barocche, ecco le austere crostate ed ecco i tanto amati strudel. E ce n’era uno che si distingueva, Leo si diceva “è quello, quello è lo strudel che ho sempre desiderato, con la pasta appena un po’ crudina”.
L’orario di apertura del parco era quasi fisso, dalle 18 alle 20, a volte fino alle 21. Poi basta, il parco chiude, i visitatori devono tornare a casa. Quella sera centinaia di visitatori bambini erano alla ricerca della propria torta smarrita nell’abbondanza: l’ora in cui le belve si nutrono, l’ora del pasto. Una ragazzina, forse più smarrita di altri, non cercava la sua torta e mormorava che la sua non era più come una volta, più d’uno l’aveva presa, assaggiata, sbocconcellata, leccata, sbattuta. E lei l’aveva lasciato fare, meravigliandosi che quelli non riuscissero a prendersi tutta la sua torta, perché lei voleva darsi tutta e se questo non succedeva era responsabilità loro. Non ce la facevano perché era troppo buona e dopo un po’ sentivano che rischiavano di perdere materia, proporzioni e coordinate in un incanto davvero celestiale e avevano paura. C’era un limite che i codardi non osavano oltrepassare. E allora lei vedeva la sua torta come uno spreco della natura, come un avanzo contaminato e quando quelli, sopraffatti comunque da un desiderio più grande di loro, si riaffacciavano incerti come iene solitarie per sfamarsi ancora con i soavi bocconi, lei ritirava ...