1. Il paese dove i maschi non picchiano le donne e non disprezzano i trans


    Data: 22/09/2017, Categorie: Trans Autore: amoreandrogino, Fonte: Annunci69

    C’era una volta, tanto tempo fa, uno strano Paese (forse esiste ancora!) dove la famiglia tradizionale era al centro di tutto. Il senso comunità era molto sviluppato, non solo nei piccoli villaggi ma anche nei grandi agglomerati urbani, dove i condomini avevano preso il posto della piazza del paese. Tutti i cittadini si aiutavano tra loro e si volevano bene, tanto che avevano messo sulla bandiera nazionale la scritta: “Tengo famiglia”.
    
    In quel palazzone di periferia, dove si svolge la nostra storia, si conoscevano tutti: famiglie che vivevano lì da tanti anni, con le donne che si fermavano a parlottare sui ballatoi e i mariti che s’incontravano al bar la domenica mattina per discutere animatamente di sport, litigando un po’, ma trovando subito l’accordo quando passava per strada una ragazza formosa e tutti facevano lo stesso commento.
    
    Era un condominio tranquillo e silenzioso: solo il sabato sera, dopo la mezzanotte, c’era un po’ di trambusto al terzo piano, dove abitava una famiglia immigrata dal sud con una figlia di sedici anni che tornava a casa troppo tardi e il padre, che l’aspettava in piedi, gliele suonava di santa ragione. Urla, imprecazioni, botte, ma durava tutto non più di cinque minuti perché poi si sentivano solo i singhiozzi della figlia che si chiudeva nella sua stanza e, alla fine, si addormentava. Qualche volta, il giorno dopo, la ragazza aveva dei segni sul volto e dei lividi sulle braccia, ma quelli del palazzo erano molto comprensivi e ...
    ... giustificavano sia lei, che era tanto giovane e aveva diritto di svagarsi un po’ il sabato sera, sia il padre che, poverino, lavorava tutta la settimana e lo faceva solo per il suo bene.
    
    In quello strano Paese, del resto, c’era ancora una concezione “proprietaria” della donna, anche se si andava diffondendo una mentalità più moderna che riconosceva un certo valore, se non umano almeno economico alle donne, soprattutto alle più giovani: per averne “la disponibilità”, si dovevano comprare o dovevano essere aiutate a entrare nel mondo dello spettacolo. E quasi tutti ammiravano i ricchi che ne potevano diventare gli utilizzatori finali e, sotto sotto, ammiravano anche le ragazze che guadagnavano tanti soldi in una sola serata. Si trattava, certamente di un retaggio maschilista, ma in quel Paese nessuno ci faceva caso perché era sessista anche la lingua ufficiale: l’uomo non sposato è definito “celibe” (che significa, etimologicamente, felice!) e viene normalmente chiamato “scapolo”, che significa “senza cappio”, mentre per la donna si usa ufficialmente il termine “nubile” (dal latino nubenda, cioè che si deve sposare!) ma tanti dicono ancora “zitella”, come dispregiativo.
    
    In quel condominio, però, non avevano una mentalità così gretta e tenevano in gran considerazione le donne. Al secondo piano abitava un’arzilla pensionata che era proprio una gran signora e, anche se non era stata sposata, nessuno si sarebbe sognato di chiamarla zitella: la chiamavano semplicemente “signorina” sebbene ...
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