1. Il girone della m - atto quinto - "io.volevo.vivere"


    Data: 08/03/2018, Categorie: Gay / Bisex Autore: CUMCONTROL

    ... sorpreso che un uomo dolce come me potesse avere di queste strane fantasie.
    
    Io non avevo strane fantasie. Io non le avevo mai coltivate. Io ero stregato da lui.
    
    Bevevo il suo nettare bianco con l’avidità dei cinque sensi, ma presto quel nutrimento non mi bastò più. Di lui bevvi allora dal calice dell’amore il fiume paglierino che attraversava tutti i giorni la sua divina uretra. Ma anche questo di lui non mi bastò più. In segreto leccai le strie odorose delle sue mutande e volli per me l’aria che egli stesso respirava.
    
    Giorno dopo giorno io mi smarrivo nell’estasi, e nell’abbandono io perdevo l’ esercizio della dignità sulla mia persona. Agli occhi del cieco in amore, questa devozione totalizzante non fu che lo spettacolo della degradazione che gli si esibiva davanti. Egli non vide più l’oggetto da amare. Vide il giocattolo da giocare. Su me tutto fu presto accordato, e quando si accorda tutto, al cieco in amore si aprirono le porte dell’oscuro arbitrio.
    
    Si divertiva a tal punto da tenere chiusi i finestrini per ore nei nostri lunghi viaggi di piacere. E rideva e rideva. Rideva nel vedermi soffocare dal puzzo che esalava. Io sfoderavo la mia minkia e la agitavo come una spada nell’aria molesta di quell'abitacolo, perduto nell'estasi che inebetiva la mia faccia mentre egli rideva così tanto da lacrimare. Era bello quando rideva. Aveva denti perfetti, bianchi, lucenti …..e ridenti. Io non vedevo che lui. Lui non vedeva che il giocattolo su cui tutto si poteva ...
    ... licenziare.
    
    Pensai al nostro amore che nacque tra le faville di un camino in un giorno d’ inverno. Il nostro amore si fece grande poi tra le lenzuola di baite bellissime e raggiunse l’apice nell’alcova maestosa e velata della sua camera da letto, in lunghe notti di lune d’argento. Il nostro amore degenerò poi nelle vespasiani, e si spense infine soffocato sotto i cumuli della merda.
    
    Ora erano mesi che non mi concedeva di annusare più la sua aria, nè sfiorargli il culo, nè di baciarlo. Non mi rivolgeva più una parola che non fosse di servizio, o di bestemmia, di dileggio o mortificazione. Gli divertiva. Oppure agiva con lunghi silenzi, chiuso nella sua mente operosa, perduto nella costruzione di propositi impenetrabili. Di lui potevo però ingoiare il suo nettare bianco e si ingraziava l’affetto dei suoi cari prestandomi a sborratoio. Diceva spesso loro che ero un cesso umano da migliorare. Ero orinale, e voleva di me farne presto latrina.
    
    Mi allontanava. Si, lui mi allontanava da ogni emozione umana. Mi allontanava da sé e dal consorzio degli uomini. E più mi allontanava, più ardente io sentivo il bisogno di lui. L’amore “è” una malattia.
    
    Ora scoreggiava in cucina come si può scoreggiare in casa propria. La cosa non lo divertiva più. Mentre io con la bocca di formaggia lo guardavo, deglutendone i rimasugli, lo osservavo di schiena. Se ne stava ricurvo ed affaccendato a tagliare fette sottilissime dell’arrosto preparato la sera prima.
    
    Di lui osservavo la precisione ...
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