1. Dalia, troia d'estate - cap,11: l'officina


    Data: 17/09/2018, Categorie: Sesso di Gruppo Autore: DonEladio

    ... stavano per riempirmi di mazzate. “Calma, calma ragazzi, è tutto a posto, lo conosco..” Divertito di fronte agli sguardi interrogativi dei meccanici, continuò, fissandomi beffardamente negli occhi: “E’ mio cognato. Il marito della troia.”
    
    Esplose in una seconda fragorosa risata, sembrò quasi perdere l’equilibrio quando si appoggiò alle spalle di Max che mi aveva riconosciuto anch’egli. “Ti è piaciuto lo spettacolo, vedo!”, mentre tutti a quel punto notarono il mio “stato” e scoppiarono a ridere a loro volta.
    
    “L’hai sempre saputo, vero?”… annuii di rimando…”E io che pensavo che ti mettesse delle gran corna alle tue spalle…invece sei un maiale che gode a vedere sua moglie montata dagli altri…”.
    
    La situazione, manco a dirlo, era a dir poco imbarazzante.. capii che il punto di non ritorno era superato ormai, e che non potevo uscirne in nessun modo. E allora feci l’unica cosa che potevo fare: “Si, l’ho sempre saputo. L’ho portata io in quella trattoria dove l’hanno fotografata e poi ti hanno fatto vedere le foto, ho sempre saputo che te la scopavi, mi ha sempre ...
    ... raccontato tutto, E mi piace da morire. Mi eccita. Voglio vederla sempre troia e pronta a farsi scopare da tutti sotto i miei occhi.”
    
    Ci fissammo negli occhi per un attimo che sembrò eterno, poi, d’improvviso, Alfio scoppiò ancora una volta in una grassa risata e mi abbracciò :”Ma porca di quella troia, ma chi l’avrebbe mai detto? E che cazzo, a saperlo ti riservavamo un posto d’onore in prima fila sulla poltrona di Max invece che startene rintanato quassù!”…. Anche Max annui ridendo, seguito dai tre meccanici.
    
    Poi, insieme ai miei nuovi amichetti del cuore, scendemmo dal soppalco e raggiungemmo Dalia: era esattamente come l’avevano lasciata, ancora priva di sensi, ricoperta di sborra e col corpo martoriato da schiaffi e pizzicotti, di fianco a lei sul materasso lurido giacevano ancora un martello e una chiave inglese che le avevano infilato nel culo.
    
    La sollevarono di peso, l’avvolsero nel cappotto e me la misero in braccio; poi mi accompagnarono al portone. “Sicuro che non ti serve aiuto per portarla a casa?”.
    
    “No, grazie”, risposi, “sono abituato. Alla prossima”
    
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