1. Montecalvario blues: "Gennaro Cusani alias giacomoleopardi"


    Data: 23/02/2020, Categorie: Masturbazione Autore: renart, Fonte: EroticiRacconti

    ... monografici su singole porzioni anatomiche del corpo di Gaia, una collezione di reperti accumulati durante tutto il triennio – da quando cioè la fanciulla aveva dismesso l'ancor infantile pinguedine ed era fiorita, nel giro miracoloso di un'estate, in femmina vigorosa, opulenta di vita, sprizzante sesso da ogni singolo poretto della sua pelle ambrata e levigata come la superficie di un uovo – che si composero in quel momento, nella mente imperversata dalla libidine, in un collage a luci rosse con Gaia l’Amazzone – così l’aveva ribattezzata per via dei capelli corti, rasati sulla nuca, e il corpo statuario, prepotente nella carica erotica che le vibrava a fior di pelle – impegnata in tutte le acrobazie possibili sulla sua pertica palpitante. Vedeva il suo culo bruno – con un piccolo triangolo bianco appiccicato sull’osso sacro, in netto contrasto con il cannellato delle chiappe sode – alzarsi e abbassarsi sul cazzo duro, lasciandovi sul tronco la bava del suo umore, mentre la sua bocca accoglieva e succhiava capezzoli turgidi e dolci come i frutti dell’Eden. Sentiva la femmina godere, le sue esortazioni volgari a scoparla più forte, a sfondarla col suo cazzone – proprio così diceva Gaia con voce roca: «cazzone» - a riempirla di crema bollente. Venne tra le urla dell’Amazzone, che rimbalzava sul cazzo come posseduta da un demone, tenendosi forte ai suoi capelli e scuotendolo come una maracas, e spruzzò il suo seme spingendo avanti l’uccello come fosse una pompa. Quattro, ...
    ... cinque, sei, sette densi fiotti di sbrodo si schiantarono contro la porta, producendo un rintocco sordo e componendo, nel loro disperdersi in rivoli e rivoletti, una macchia decisamente estesa, che ricordava vagamente una performance astrattista o una di quelle chiazze di inchiostro che gli psichiatri nei film mettono sotto al naso della gente interrogandoli sul suo significato. Stremato, Gennaro abbandonò le braccia lungo i lati della tazza, col perizoma che gli pendeva dalle dita come uno straccetto steso ad asciugare, aspettò che il cazzo gli si ammosciasse nella mano impiastricciata e che le gambe smettessero di tremare, quindi si alzò e si ricompose. Fu mentre riponeva il perizoma nella carta che vi notò impresso uno scritto a stampatello. Questo è l’anticipo, il resto te lo invio sul cellulare, se hai uno smartphone, o per e-mail. Lascia numero o indirizzo. E non farti troppe seghe, ché diventi pure cieco, porcellino. Chiaramente, pur non sfuggendogli la sfumatura semantica, Gennaro Cusani non diede affatto peso alla sgradevolezza dell’avverbio contenuto nella chiosa – che con assoluta evidenza alludeva ad un ulteriore aggravio a debito di un corpo già sufficientemente disgraziato di suo – ma si coccolò più volte sulla punta delle labbra, stuzzicandolo con la lingua come fosse la scaglia di una giuggiola, l’epiteto che gli era stato attribuito, rimettendo in tal modo in circolo nel sangue le molecole della sua voglia, che lo avrebbero condotto inesorabilmente ad una seconda ...
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